Fino al 7 settembre 2025, gli abiti tradizionali maschili della collezione Manavello dialogano con installazioni d’arte contemporanea. La mostra è arricchita dal public program Evolving Soundscapes

Venerdì 11 aprile, presso il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, è stata presentata la mostra “HAORI. Gli abiti maschili del primo Novecento narrano il Giappone”, aperta al pubblico dal 12 aprile al 7 settembre 2025. Un viaggio inedito nella storia, nella società e nella cultura giapponese attraverso circa 50 abiti tradizionali maschili, – tra le giacche sovrakimono haori e le vesti sottokimono juban, più una sezione dedicata agli abiti tradizionali da bambino – tutti pezzi provenienti dalla collezione Manavello. Il progetto, realizzato con il patrocinio del Consolato Generale del Giappone a Milano, affianca gli indumenti tradizionali giapponesi ad alcune opere di artisti contemporanei, creando un racconto corale sull’estremo Oriente di ieri e di oggi .
La mostra si avvale della consulenza curatoriale di Silvia Vesco, docente di Storia dell’Arte Giapponese presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, della collezionista Lydia Manavello, di You Mi, curatrice indipendente e attualmente docente di Arte ed Economia all’Università di Kassel, in collaborazione con il direttore del MAO Davide Quadrio e la curatrice Anna Musini, con l’assistenza di Francesca Corrias.
Davide Quadrio, direttore del MAO, ha evidenziato l’assoluta novità della mostra, senza precedenti in Italia e in Europa: «È la prima a esporre un tale numero di haori maschili, che sono tradizionalmente meno studiati e rappresentati rispetto ai kimono femminili. Inoltre, l’esposizione intende proporre – attraverso gli abiti in mostra – uno sguardo diverso sul Giappone e sul cosiddetto estremo Oriente, uscendo dalla visione tradizionale e romantica che ne abbiamo in Occidente. È una mostra che riflette sul rapporto tra interno ed esterno, tra pubblico e privato, tra mondi e culture solo apparentemente lontani».

Giacca sovrakimono informale (haori) maschile con nave in partenza da una banchina, Japan, 1920-1940. Collezione privata. Foto Alessandro Muner.

L’abito come chiave per esplorare l’universo maschile
«Se l’abito femminile mostra la bellezza verso l’esterno, quello maschile la nasconde al suo interno» – spiega la co-curatrice Francesca Corrias – «Si tratta di una visione opposta rispetto ai ruoli storicamente assegnati all’uomo e alla donna nella società giapponese, dove la donna viveva più appartata, incaricata di proteggere la tradizione giapponese, mentre l’uomo era riconosciuto come parte attiva della società, come volto pubblico del Giappone moderno».
Meno appariscenti degli abiti femminili ma altrettanto affascinanti, i completi cerimoniali e quotidiani maschili racchiudono dunque un universo psicologico raramente accessibile in una società come quella giapponese, attenta a separare pubblico e privato. Le decorazioni che impreziosiscono gli interni di questi abiti, quindi, raccontano moltissimo dei loro committenti, rivelando l’anima di chi li indossava e rappresentando fonti storiche preziose.

Kimono da bambino con soggetti militari del Giappone antico su sfondo verde e blu chiaro (dettaglio). Giappone, I metà del secolo XX. Collezione privata. Foto Alessandro Muner.

Taffetà di seta stampato a mascherina (katayuzen); fodera in taffetà di seta, leggermente imbottita. Due cinturine in twill di seta damascato applicate al corpetto. Foto Alessandro Muner.
L’abito come lente per osservare il passato
Opere d’arte raffinatissime, ma anche puntuali documenti storici, come evidenziato da Lydia Manavello, dalla cui collezione provengono gli abiti esposti: «La collezione mi permette di entrare in contatto con le persone che li hanno indossati, non c’è opera d’arte più viva di un abito. Questa collezione è nata dalla volontà di ricostruire una parte della storia giapponese: ciascun haori, infatti, racconta una parte della storia del Giappone, svelando significati e immagini appartenenti a contesti diversi: religiosi, storici, politici. Gli haori sono uno specchio fedele e multiforme per raccontare la storia dell’abbigliamento e della società giapponese».
I 50 haori e juban in mostra, esposti rivoltati per rendere visibili le ricche decorazioni che nascondono, presentano immagini di carattere narrativo, letterario e propagandistico che offrono uno sguardo inedito sul Giappone del primo Novecento: un paese sospeso fra tradizione e modernità, tra fascinazione per l’Occidente e pulsioni nazionalistiche. In quest’ottica, le raffigurazioni documentano in presa diretta le tappe salienti della storia giapponese più recenti: dalle riforme Meiji intraprese tra il 1868 e il 1912 alla guerra russo giapponese del 1904-1905, dall’espansionismo in Asia negli anni ‘30-40 all’attacco di Pearl Harbour, fino al trattato di pace di San Francisco del 1951, con cui il Giappone pose formalmente fine allo stato di guerra e avviò la ricostruzione del Paese.

Giacca sovrakimono (haori) formale maschile raffigurante l’ingresso dell’esercito giapponese a Mukden. Collezione privata. Foto Alessandro Muner.

Kimono da bambino con scene di carattere militare e fogli sparsi di giornale dell’Incidente di Mukden (18 settembre 1931). Collezione privata. Foto Alessandro Muner.
Un’evoluzione culturale e sociale, quella del Giappone postbellico, documentata anche dai film del regista giapponese Yasujirō Ozu, in particolare nei suoi capolavori Viaggio a Tokyo (1953) e Inizio d’estate (1951), presenti in mostra con alcuni filmati estrapolati e montati ìn un unico video-collage. In una società appena uscita dalla guerra e avviatasi sulla strada della ricostruzione, Ozu riuscì a narrare la ritualità della vita quotidiana, sfumando i confini tra vicende private e contesto storico-politico del dopoguerra.
Un’intimità domestica che ritroviamo nella prima sala della mostra grazie all’opera Kotatsu (J. Stempel) di Tobias Rehberger (Esslingen, 1966), uno degli artisti contemporanei selezionati per dialogare con gli abiti della collezione Manavello. L’opera, realizzata nel 2001 per la mostra Do Not Eat Industrially Produced Eggs alla Staatliche Kunsthalle Baden-Baden, riproduce una tipica casa giapponese con al centro un kotatsu, appunto, il tradizionale tavolino basso riscaldato. Il legno utilizzato, però, proviene da mobili di abitazioni tedesche acquistati dall’artista dopo la morte dei proprietari. Una rielaborazione, quella di Rehberger, non puramente materiale ma soprattutto culturale, che intreccia vissuti personali e culture diverse.

Un dialogo fra passato e presente: gli artisti contemporanei coinvolti
Dopo l’opera di Rehberger, sono diverse le installazioni e i video di artisti contemporanei diffusi lungo il percorso espositivo, accanto agli haori e alle juban della collezione Manavello.
«Il coinvolgimento di artisti contemporanei consente diverse letture sugli oggetti esposti – commenta la curatrice Anna Musini, che aggiunge: «Gli abiti della collezione Manavello e le opere degli artisti contemporanei condividono alcune parole chiave: assenza, presenza, memoria. Un tema, quest’ultimo, che emerge in opere di artisti come Rehberger, in prestito dalla GAM di Torino, e Kimsooja, che testimoniano la possibilità di restituire dignità a oggetti quotidiani pregni di significati rituali. Un tema che viene affrontato anche nei lavori cinematografici di Wang Tuo e Royce Ng, che raccontano scorci di storia giapponese mescolando finzione e realtà».
Fra le opere contemporanee che costellano il percorso espositivo: le sculture Bottari di Kimsooja (Taegu, Corea, 1957), fagotti realizzati con copriletti usati e riempiti di biancheria e vestiti appartenuti ad altre persone. Il termine “Bottari”, in Corea e in altri paesi asiatici, indica il fagotto utilizzato per imballare effetti personali durante trasporti improvvisati e migrazioni, In questo senso, i Bottari di Kimsooja racchiudono storie di corpi, presenze, assenze. Temi come il rapporto tra identità e nomadismo, con particolare attenzione all’idea di ibridismo culturale e linguistico, sono anche al centro del video A Needle Woman di Kimsooja, proiettato in mostra.
Infine, la storia giapponese può diventare anche materia di speculazione fantastica, come dimostra il video Kishi the Vampire di Royce Ng (Hong Kong, 1983), storia del primo ministro Kishi Nobusuke riletta in forma di racconto di vampiri. Un’opera a cui fa eco il film Tungus, 通古斯 dell’artista cinese Wang Tuo (Changchun, China, 1984), che indaga gli stessi temi intrecciando fatti storici, finzione e mitologia.
A giugno 2025, la mostra sarà arricchita dal catalogo in lingua italiana e inglese edito da Silvana Editoriale, con saggi critici inediti e un ampio apparato iconografico. Grazie alla collaborazione con l’Istituto dei Sordi di Torino, tutti i contenuti della mostra sono disponibili in LIS.

Evolving Soundscapes, il programma musicale e performativo
La mostra è arricchita dal programma musicale e performativo Evolving Soundscapes, a cura di Chiara Lee e Freddie Murphy, concepito come un’estensione performativa della mostra.
Il public program ha preso il via ieri sera, 11 aprile, in occasione dell’inaugurazione della mostra, con la musica della percussionista giapponese Tsubasa Hori, che combina taiko tradizionale e musica sperimentale contemporanea.
Venerdì 9 maggio 2025 (ore 18:30) sale sul palco la violoncellista, compositrice e performer MIZU, che sfida i confini tra teatro, concerto e performance. Uscita recentemente con il suo ultimo album Forest Scenes, HIZU combina suoni registrati con manipolazioni elettroniche e produzione sperimentale, esplorando la propria identità musicale e di donna trans.

Infine, martedì 1 luglio 2025 (ore 18:30), il sound artist fujilllllllllllta indaga i suoni inesplorati di fenomeni naturali come aria e suoni minimali, ispirandosi alla musica classica giapponese (gagaku).
La partecipazione agli eventi del public program è inclusa nel biglietto di ingresso alla mostra. In occasione delle performance, la mostra chiuderà alle ore 19:30.
Informazioni per il pubblico
MAO Museo d’Arte Orientale (Via San Domenico, 11, Torino)
BIGLIETTI: Intero 12€ – Ridotto 10€
ORARI: martedì – domenica: 10 – 18. Lunedì chiuso
La biglietteria chiude un’ora prima. Ultimo ingresso ore 17
