Smart working

Lo smart working è una fregatura: gli effetti negativi del lavoro agile

Freelance, dipendenti e imprenditori, tutti alle prese con attività che possono essere svolte ovunque. Siamo sicuri che questa sia davvero una panacea?

Soundtrack: Stavo pensando a te

Come mai prima d’ora, in questo triste periodo della storia italiana, si parla di smart working. Il merito è della politica che, finalmente, ha deciso di fare una visita dall’oculista per curare la sua miopia. In realtà, sono diversi anni ormai che freelance, dipendenti e imprenditori lavorano da remoto, totalmente o in parte.

«Fata benedetta e strega maledetta insieme»

Il lavoro agile può essere una panacea o una fregatura. Se da un lato ci sono vantaggi quali la flessibilità in termini di spazio e tempo, la gestione autonoma della vita lavorativa che s’interseca con quella personale e la riduzione dei costi (solo per citarne alcuni) dall’altro ci degli aspetti negativi che possono mettere i bastoni tra le ruote. Di séguito, con l’aiuto della musica, ne spiego alcuni:

1. La zia premurosa feat. I call center

Hai fatto colazione, ti sei lavato, vestito e hai provveduto ai bisogni primari. Di fronte hai la scrivania, su di lei c’è l’elenco che hai scritto ieri sera per la giornata odierna. Ti siedi, accendi il pc, inizi a battere sulla tastiera e… Fermati, squilla il cellulare. Mentre ascolti la suoneria (o il rumore della vibrazione, se sei come me che ho il telefono in modalità silenziosa da così tanto tempo che non ricordo nemmeno che suono abbia) pensi “è zia? La Tim? L’associazione dei procioni uniti? Il consulente gratuito e non richiesto di trading online?”. In un attimo ti sembra di essere con Gerry Scotti a “Chi vuol essere milionario?”. Dai la tua risposta, guardi lo schermo e sì, ci hai visto lungo: è la zia premurosa che vive a cinquecento chilometri da te. Ti chiama puntualmente per sapere cos’hai mangiato, se lavori e come procede con la tua ragazza. Non finisce qui. Tempo mezz’ora e squilla di nuovo il telefono. Questa volta è il call center di turno che ti fa una super mega irripetibile offerta da mezza fetecchia mentre cerchi di chiudere il telefono gentilmente, perché sai bene che loro sono persone che lavorano, proprio come te. Alla fine della fiera, ti ritrovi a stare dietro ad alcune telefonate per le quali pensi che sono state solo “parole, soltanto parole, parole tra noi”.

2. Netflix, odi et amo

Lo streaming ha cambiato la vita di tanti. Con un comodo abbonamento mensile, hai a disposizione miriadi di serie tv, film, documentari e chi più ne ha più ne metta. Altro che offerte Eminflex, le televendite di Mastrota o de Il Baffo sono soltanto lontani ricordi di convenienza. C’è così tanta roba che dura anche poco. Che fai? Non stacchi un attimo per la puntata di quaranta minuti? Neppure per quella di venti? Poi, però, c’è il cliffhanger impastato da quei geni della scrittura degli sceneggiatori. Ce la fai a restare col fiato sospeso? Sei sicuro di non voler scoprire sùbito che fine ha fatto il piccolo Bran? Dove va Oliver e dove Monitor porta Felicity? Qual è la connessione tra il Professore e Berlino? Resistere è dura. Ci vuole tempo per lavorare così come ci vuole tempo per guardare le conseguenze di un singolo colpo di scena. Da piccoli ci hanno insegnato che viene prima il dovere e poi il piacere, da grandi abbiamo scoperto il gusto ammaliante della tentazione. D’altronde lavori al computer, è proprio questo il mezzo per dissetare la tua curiosità di pellicole digitali. Netflix & Co. sono dannatamente amabili succhia tempo, quello che “quando stai bene lui va via come un lampo, quando ti annoi un attimo sembra eterno”.

3. Bello, lavori da casa, ma di lavoro cosa fai?

Alzi la mano chi, tra quelli che lavorano in remoto, non abbia mai ricevuto questa domanda. In molti casi, la risposta a “che lavoro fai?” sembra una supercazzola come se fosse antani. Vallo a spiegare al nonno, alla zia (del punto 1), al barbiere di fiducia o al fruttivendolo sotto casa come fai a guadagnare nella stessa stanza in cui dormi (e, spesso, mangi). Le persone più intraprendenti, a volte, fanno finta di capirti e di prenderti sul serio, ma lo vedi dalla loro espressione convinta che vorrebbero dirti “ma che stai a di’”, con la faccia di Christian De Sica, nei panni del principe Ascanio Cavallini Gaetani, che rifiuta la mano di Valentina Persia, interprete di Patrizia Gallozzi. Poi ci sono i tuoi amici, quelli di una vita, coloro che ti sostengono qualunque cosa tu decida di fare. Metti che sei a cena con loro, iniziate a parlare del più e del meno. C’è lo spazio calcistico, i recenti gossip, la condivisione musicale, le vicende lavorative. Nel momento in cui prendi parola ed esponi le tue esperienze, arriva l’amico fidato che ti ferma, ti guarda dritto negli occhi e dice: «Ci chiediamo tutti che lavoro fai». Sì, siamo punto e a capo.

4. La solitudine dei numeri smart

Un problema che attanaglia tanti smart worker è che tu te la suoni e tu te la senti. Normalmente, sul lavoro nascono amicizie, si conosce gente, vengono scambi passaggi in auto, c’è confronto. Tu non puoi farlo. Magari, hai qualche speranza se lavori in un coworking o in quelle caffetterie che si prestano al lavoro agile, ma non è semplice. Tu hai orari e abitudini cementificate da tante ore di solitudine sulle spalle, è difficile distaccarsene, lo stesso vale per gli altri. Sarebbe bello trovare qualcuno che abbia le tue stesse particolarità, il rischio è che si interponga un invalicabile ostacolo. Intanto, mentre tutto scorre sotto le tue dita come il news feed dell’app di Facebook, ti ritrovi a dire: «Qui non viene mai nessuno a farmi compagnia», mentre guardi Bobby, il cane.

5. Ci sentiamo al volo?

Ti ricordi l’amico, del punto 3, che dopo tanti anni non sa ancòra quale sia il tuo lavoro? Lui è convinto di una cosa, sottesa, detta quasi a stento, proveniente da un’idea decisa: se lavori in casa, tu hai tempo. Mica hai lo sbattimento di uscire, metterti in macchina, prendere la metro, fare il biglietto dell’autobus, fare il tragitto a piedi. Se sei in casa, tu hai tempo di prendere un caffè, fare la fila alle Poste, telefonare per prenotare la cena in comitiva, rispondere ai messaggi che iniziano con “scrivimi al volo”, postare meme nel gruppo del calcetto, pettinare le bambole, farti i selfie con i servizi igienici sullo sfondo. Tu hai tempo, mica come lui che quasi non può andare nemmeno in bagno sennò il capo lo sgrida. Intanto arriva il tramonto, quello che vedi dalla tua finestra sul mondo esterno, dai colori rosso fuoco e arancione pastello. Guardi l’orologio sullo schermo del pc e ti rivolgi al tuo alleato prezioso dicendo: «Come passi in fretta, tempo, adesso corri più del vento», mentre la tenda si muove, quasi a dartene conferma.

Dimmi come ti vesti e ti dirò chi sei

Pigiama, caldo e dolce pigiama. Opportuno per dormire, pratico per stare comodi in casa. Se non esci, perché toglierlo? È quello che dicono e fanno in tanti. Come dargli torto, però può essere nemico del rendimento. Infatti, il parere condiviso dagli anti-pigiama, è quello di vestirsi, truccarsi e prepararsi come se si dovesse uscire. Questa pratica aiuta la mente ad avere un approccio lavorativo più proficuo, agile e veloce, sollecita la produttività lavorativa. Non importa che tu abbia una riunione in videochiamata con il cliente o con i colleghi, devi indossare quei vestiti che metteresti se fossi lì con loro. L’alternativa potrebbe essere il mezzobusto in stile giornalista, utile proprio a videocamera accesa: ti vedo in giacca e cravatta, ma sotto la scrivania? Sei in mutande? Hai il pigiama? Mmm… Non si sa! Io la mattina apro l’armadio con indecisione, non so che fare. Agli esperti di abbigliamento per smart worker vorrei dire “cerco l’outfit giusto, dimmi tu che sembri aver buon gusto”.

7. L’abbonamento (parcheggiato) in palestra

Devo fare movimento”, “dopo le feste mi alleno”, “è il momento di pensare alla mia forma fisica”. Quanti non hanno mai detto almeno una di queste frasi? Forse i ragazzini, grazie al loro metabolismo veloce. Probabilmente, quelli che escono di casa alle 7:00 e rientrano alle 19:00. Tu che lavori in casa, ammettilo, se non l’hai detto, l’hai pensato. Nel frattempo, il tuo vecchio abbonamento alla palestra con quella fototessera che ti ritrae poco più che studente universitario, te lo sei dimenticato, ma lui no. Si ricorda di te, sa che lo nascondi nel cassetto sotto i calzini e aspetta il giorno in cui si vendicherà prendendoti in giro per i tuoi addominali da tartaruga capovolta. Il più delle volte, la palestra viene giudicata una cosa utile che ti fa perdere tempo, perché sei un lavoratore agile e le cose che non sono connesse alla rete sono quasi un di più (è una piccola anticipazione del prossimo punto, ma ci arriviamo, ndr). Però poi arrivano sempre i guru dello smart working lifestyle che in stile Enzo Miccio ti fanno sentire in colpa, perché l’esercizio fisico aiuta la suddetta produttività. Allora ti ingegni con le bottiglie d’acqua da due litri e la corda che usavi da bambino per giocare, trovata nello scantinato accanto all’hula hoop. In realtà, il tutto dura cinque minuti, perché tu lavori con la mente, è lei che devi esercitare, quindi rispondi agli esperti dicendo: «Ho una palestra nella testa che mi allena la freschezza». Fine dei giochi che anticipa, di qualche giorno, il ritorno dei buoni propositi iniziali.

8. Ci sei? Ce la fai? Sei connesso?

Se fosse una serie tv (ancora co’ ‘ste serie?!), potremmo dire che 8 is the new 1. Già, perché il punto 8 è una sorta di evoluzione del punto 1, ma senza telefonate: le notifiche dello smartphone. Uno dei consigli per vivere meglio, è quello di disattivare le notifiche di qualsiasi app, ma come fare? Se lavori da casa tramite la rete internet, com’è possibile? Infatti, non puoi ignorare le mail, le schede di Trello o i messaggi di clienti/collaboratori che si ostinano a usare WhatsApp. Dovresti avere dei ritmi, ma pure gli altri hanno i loro tempi e se ti dessi degli orari saresti un negozio, uno studio, un ristorante. Tu hai scelto questo lavoro agile che fa figo e ora ne accetti le conseguenze che, a loro volta, hanno le loro conseguenze, perché quest’iperconnessione ti è entrata così dentro che se non hai notifiche, ti senti spaesato e allora te la vai a cercare postando cose a caso sui social, scrivendo messaggi all’amica della terza elementare che manco si ricorda di te, scaricando una nuova applicazione che non ti serve. Devi fare i conti con la realtà, ormai sei nel Matrix. Pensa che pure lo specchio al mattino ti dice: «Ammetti che hai un problema, non riesci più a farne senza».

9. Skypiamo?

Se non puoi raggiungere il posto di lavoro, perché sei già nel tuo posto di lavoro, stai sicuro che il collega di turno se ne uscirà con la domanda “skypiamo?”. Quella principessa sul pisello della mia vicina direbbe “come ti permetti?!”, ma tu non sei malizioso e hai capito che mi riferisco a quella strana voglia che spinge gli individui a fare riunioni ogni due per tre. Spreco di tempo, comunicazioni confuse e interesse in declino. A queste controindicazioni aggiungici anche l’immancabile e irritante inglesismo. Tra “whatsappami”, “facciamo una call” e “ti brieffo”, sembra che l’italiano ormai faccia schifo ai “tu vuo’ fa’ l’americano” de’ noàntri. Inglesismi e perdigiorno convinti del “io sono smart”: come fai a sopportarli? Quando mi danno ai nervi, vorrei tanto rispondere: «Mi stai sul catso come un neo col tuo neologismo», ma sono una persona educata e mi trattengo, per poi urlare dopo a caso, tanto non mi sente nessuno (ti ricordi del punto 4?).

10. “M’ sieee? T’appooost”

Oltre agli inglesismi, alcuni clienti e/o collaboratori hanno il problema di non capire. Tu gli dici di mandare una mail e loro ti scrivono su WhatsApp, poi gli rispondi con un messaggio di testo e loro ti mandano un vocale. In altri casi, gli chiedi il logo e la risposta più plausibile è “scaricalo dall’immagine del profilo di Facebook”. Quando gli dici che sei impegnato e che richiamerai, cosa succede? Che ti tempestano per giorni interi di messaggi, di testo e vocali. È questo il momento in cui rimpiangi il modem a 56k, il Commodore 64 e gli SMS a 200 lire l’uno. Purtroppo, oggigiorno, il mondo è pieno di persone ferme sulle loro convinzioni decise ad andare avanti come fanno sempre senza scindere vita privata e professionale, amici e colleghi, ieri, oggi e domani. Probabilmente, con queste persone, “non è tempo per noi e forse non lo sarà mai”.

11. L’orologio svizzero che non funziona

In alcuni casi, lo smart working nasce per fare di necessità virtù, ma è davvero difficile essere virtuosi in casa. Le mura domestiche sono il tuo porto sicuro, l’abbraccio dei tuoi cari, la tua bigiotteria, le tue abitudini, il tuo pigiama, il tuo Bobby che ti morde le ciabatte prima di andare a spasso, l’anziana del terzo piano che ti porta dolci fatti in casa, la zia premurosa e chi più ne ha più ne metta. Rileggi tutte queste cose con gli occhi del tuo capo: non ti sembrano distrazioni? Eh beh, ammettilo, non andare in ufficio ti distrae. Ciò significa che spesso fai tardi per le mini-scadenze per poi lavorare pure di notte pur di rispettare il termine ultimo del progetto generale. Questo non ti fa vivere bene e ti mette in cattiva luce col tuo capo. Di questo passo, l’unica scusa che riuscirai a dare sarà “mi sono distratto con l’intreccio delle comete”, per buona pace dei tuoi superiori. Ah, ho una domanda: ma tuo fratello non può scendere il cane (grazie al “ni” dell’Accademia della Crusca, ndr)?!?

“Mamma, devo fare la pipì!”

Se sei un genitore, ho un’ultima cosa da considerare che viene prima di ogni cosa: i figli. Quei piccoli pargoli sono la gioia di ogni mamma e papà. Ti fanno brillare gli occhi solo a pensarli, danno un senso alla tua vita, sono amore allo stato puro, ma hanno bisogno di attenzioni, davvero tante. Immagina che sei in una call (come la chiama il tuo collega del punto 9), a un certo punto senti urlare dall’altra stanza prima “mi scappa la pipì”, poi “non ce la faccio più!”. Il collega parla spedito, come se nulla fosse, d’altronde non è lì con te. Tu non sai come fermarlo e se da un lato non vuoi fare brutta figura, dall’altro sai che non lo è. Sei pur sempre un genitore e lui deve capirlo! Ti sei deciso, blocchi la conversazione, ti giri e il tuo piccolo e dolce pargolo è lì con lo sguardo che aveva il tuo partner quando ancòra fidanzati l’hai bucato a un appuntamento. Mentre gli dici: «Amore, dai, andiamo in bagno», lui tentenna, il suo pantalone con i cuoricini inizia a diventare umido e con decisione ti dice: «Non ne posso proprio più, io la faccio qui!“. Addio call, skypata e conference, ti tocca fare il genitore.

«Quando pensi che sia finita, è proprio allora che comincia la salita»

Se anche tu lavori da remoto, sono sicuro che ti sei rivisto in almeno una di quelle che ho chiamato le dodici fatiche dello smart working. Non temere, non sei solo. Siamo una categoria anomala, problematica, fantasiosa e temeraria. Ne usciremo indenni, forse, oppure arricchiremo di stravaganti episodi i nostri curriculum vitae.

«Ho chiuso il cielo nella stanza, ho le pareti blu / Ho perso la ragione, la ragione sei tu»

Salmo