Un’abbuffata virtuale

Le nuove funzioni nell’ambito dei social media amplificano l’esperienza sensoriale legata al cibo.

L’esistenza di una dimensione sensoriale legata al cibo, di certo, non è una scoperta: questa rappresenta un vero e proprio fatto culturale. Il cibo può essere considerato a tutti gli effetti un’esperienza, un viaggio attraverso i sensi, che se stimolati correttamente generano sensazioni di godimento puro, paragonabili a quelle derivanti dal piacere fisico.

Quando si parla di cibo infatti, pur appartenendo ad un’area semantica differente, viene sempre più frequentemente adottato l’uso di un lessico proprio dell’ambito erotico. È infatti noto ormai alla scienza che, quando l’individuo si abbandona al godimento dei suddetti piaceri, il cervello rilascia le medesime sostanze, le endorfine.

Così il web, e in particolar modo le home dei social media, pullulano di hashtag come foodporn, “foodgasm” e di caption che recitano “se è porno tolgo o “goduria pura”, che accompagnano foto ritraenti invitanti piatti di pasta, fiorentine da 1kg e mezzo e dessert alla cui sola vista si rischia di raggiungere il picco glicemico.

Instagram è il palcoscenico per eccellenza del mondo del food, in cui viene alla ribalta la crescente ossessione per il cibo; così basta scorrerne il feed per compiere virtualmente un vero e proprio tour gastronomico che abbatte qualsiasi limite e confine spazio-temporale.

Ma come reagiscono la nostra psiche e il nostro corpo agli stimoli, sollecitati dalla vista di tutte quelle leccornie esposte come torte nella vetrina di una pasticceria? Si prova un appagante senso di sazietà o si alimenta l’insorgenza di voglie e desideri che vanno poi necessariamente soddisfatti? La risposta corretta, senza dubbio, è la seconda. A ciò, contribuisce l’introduzione di nuove funzioni e modalità di partecipazione e comunicazione all’interno dei social, che oltre alla vista, stimolano anche altri sensi, immergendoci in una dimensione sensoriale sempre più profonda.

Sound on

Ormai gli utenti, specialmente coloro che hanno fatto del cibo l’attore protagonista dei propri profili – i cosiddetti foodblogger – si sono spinti oltre.

La mera pubblicazione d’immagini di pietanze, immortalate da molteplici punti di vista, che ne mettono in mostra talvolta la perfezione estetica, talvolta l’abbondanza, soddisfacendo così la vista dei più golosi, ora fa spazio alla pubblicazione di video e stories.

Lo scopo, probabilmente, risiede in un coinvolgimento sempre maggiore dei propri followers, andando a stimolare oltre che la vista, anche l’udito. Così, immagini e suoni, si sposano dando vita ad un idillio che genera in chi consuma questi contenuti, riflessi pavloviani. Nelle stories, la ormai sempre più frequente presenza della gif “sound on” è un irresistibile invito a schiacciare il tasto del volume dello smartphone per ascoltare e godere del suono della cipolla che sfrigola annegata in una padella ricolma d’olio, del “crunch” che emette un fragrante biscotto quando viene spezzato e del frizzare di un bicchiere di coca cola appena versato.

Comportamenti compensatori

È interessante poi indagare anche un altro aspetto legato alla fruizione di questi contenuti. Una buona parte degli utenti che giornalmente dedicano del tempo alla visione e all’ascolto d’immagini e video sul cibo, hanno con esso un rapporto conflittuale. Nei casi più gravi poi, soffrono di disturbi dell’alimentazione. Premesso ciò, risulta complicato comprenderne il comportamento che se analizzato in superficie, può essere giustificato solo attraverso un meccanismo che tende al masochismo puro. Probabilmente si tratta invece di comportamenti compensatori.

Così, una ragazza ossessionata dalla linea e costantemente a dieta, per non provare il senso di colpa tipico del post sgarro, non potendo abbandonarsi al godimento del cibo che tanto brama, tenderà ad ovviare al problema con una bella scorpacciata su instagram. Ne ho tanta voglia, ma non posso mangiarlo: guardo/ascolto il video così la voglia mi passa. Questo è il ragionamento che più o meno inconsciamente si snoda nella psiche umana.

Chi ama il cibo ed ha il pieno controllo del rapporto con esso, chi invece ne è ossessionato e vive un rapporto conflittuale, chi ne apprezza esclusivamente l’aspetto ludico o chi semplicemente prova piacere nel consumare quei contenuti; ad eccezione di coloro che soffrono di misofonia, nessuno riesce a resistergli. Non resta quindi che scorrere il feed, alzare il volume e far godere le proprie orecchie.

Golose melodie

Nella relazione tra sensi e cibo, l’aspetto uditivo è forse quello tenuto meno in considerazione. In realtà però, il suo sound, influenza enormemente la nostra percezione. Talvolta poi, è anche indicatore di qualità di un alimento, oltre a comunicarcene la consistenza, che non sempre può essere percepita solo attraverso il tatto. Anche l’udito quindi è complice nell’evocare sensazioni e nel sollecitare le nostre papille gustative.

Divenuto noto il suo potere, il mondo del marketing, adotta a proprio vantaggio questa leva, inserendola tra gli ingredienti dalla cui combinazione, si auspica si possa dar vita ad una campagna pubblicitaria di successo. Così quest’escamotage, riconducibile anche ad un fenomeno già noto da alcuni anni sotto la sigla ASMR, diviene la protagonista degli spot pubblicitari. È ovvio che, in quest’ambito, l’uso del suono atto alla stimolazione dei sensi, che genera voglie e desideri, non è fine a se stesso. Il processo giunge al termine e con successo quando, a seguito della ricezione dello stimolo proveniente dall’esterno, questo viene immagazzinato ed elaborato nel cervello, ed infine tradotto in un comportamento. Nel caso specifico, questo, corrisponde all’acquisto di un prodotto.

Sempre più frequentemente le voci di uomini e donne dal tono convincente e sicuro o sensuale e accattivante, le celebri colonne sonore di capolavori della cinematografia prestate alla pubblicità e i tormentoni musicali in vetta nelle classifiche del momento, che sono sempre stati i protagonisti degli spot pubblicitari, lasciano il posto alle “golose melodie” prodotte dal cibo.

Alla luce di tutto ciò sorge spontaneo chiedersi se in futuro, avanzando una previsione visionaria, il progresso tecnologico, consentirà il coinvolgimento attraverso i social media, anche dell’olfatto e del tatto. Sarà possibile immergersi a 360 gradi nella dimensione sensoriale e vedere, ascoltare, odorare e toccare il cibo attraverso un’app?